Com’è noto l’ENIL, European Network Independent Living, è una Organizzazione, nata sul finire degli anni 80 con la missione di portare dagli Stati Uniti all’Europa e quindi anche in Italia, il diritto alla Vita Indipendente, ponendo l’assistenza personale autogestita come strumento principale per perseguirla. Il nostro è un Movimento di persone con disabilità che, insieme ad altre organizzazioni, ha ottenuto nel 1998 la legge 162 e che, con l’avvento della 328/2000 ha dovuto riorganizzarsi in comitati locali e/o regionali, per poter acquisire localmente quella esigibilità che prima della riforma del Titolo V e con il raggiungimento della L. 162 sembrava già conquistata e applicabile in modo omogeneo in tutto il territorio della nazione.
Si precisa che, quando parliamo di assistenza personale autogestita quale strumento di promozione per la Vita Indipendente, sulla base dei principi della Convenzione ONU non si esclude nessuna forma di disabilità, perché essa può essere integrata con altre forme di supporto, ad esempio: amministratore di sostegno, educatore, psicoterapeuta, o altra figura professionale, qualora se ne presenti la volontà o la necessità.
Negli anni successivi in alcune regioni, principalmente del Nord (Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, ma anche Sardegna e Sicilia), e in alcune città, come Roma, Como, dove la presenza di attivisti informati, organizzati e determinati ha trovato ascolto, si è cominciato ad ottenere delibere e regolamenti volti al conseguimento della Vita Indipendente mediante l’assistenza personale autogestita, con i relativi finanziamenti, per la verità poco consistenti e alquanto differenziati. Grazie ad essi le persone con disabilità, sebbene in modalità ridotte, hanno potuto vivere nel proprio nucleo familiare d’origine o in uno di nuova formazione, o vivere sole, evitando di finire in un istituto sebbene in condizioni comunque lontane dalla pari dignità ed eguaglianza consentita ai cittadini non disabili.
In anni più recenti le regioni centrali Molise e Abruzzo hanno conseguito delle apposite leggi, anch’esse alquanto limitate in termini di finanziamenti, mentre nella maggior parte delle regioni d’Italia ed in particolare al Sud, non è stato ottenuto alcuno strumento normativo per garantire il diritto all’autodeterminazione delle persone con disabilità, cioè il diritto di vivere in modo indipendente. Di conseguenza ancora molte persone disabili sono a carico delle loro famiglie, contemporaneamente vittime e carnefici dei loro cari, o rinchiuse negli istituti e nelle case famiglia o abbandonate a loro stesse, a volte fino a morirne, il che equivale a dire che la maggior parte di esse vive ancora pesantemente discriminata e segregata. Contestualmente anche i diritti di cittadinanza restano inesigibili nel caso in cui le persone disabili vogliono o necessitano cambiare residenza.
Gli sforzi dei precedenti governi per consentire alle regioni di colmare il vuoto amministrativo e di dare risposte al bisogno/diritto di autodeterminazione delle persone con disabilità, anche per adempiere agli obblighi disposti con la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, mediante la legge 3 marzo 2009, n° 18, hanno prodotto in materia di Vita Indipendente, ben miseri risultati.
Gli esiti e le differenti interpretazioni da parte delle regioni del “Decreto ministeriale sulle Linee guida per la presentazione di progetti sperimentali in materia di Vita Indipendente ed inclusione nella società delle persone con disabilità” è stato, dal 2013 all’anno in corso, più che un percorso volto a consentire alla persona con disabilità di “scegliere, in piena libertà e autonomia, come vivere, dove vivere e con chi vivere”, un modello di intervento condiviso da vari attori ma con grande dispersione delle poche risorse finanziarie che solo in ridotte percentuali sono arrivate direttamente alle persone con disabilità interessate. Oltremodo ha creato un dannoso gioco al ribasso in relazione a quelle buone prassi che erano state a fatica attuate e sostenute in precedenza, di fatto impedendo di raggiungere una vera indipendenza, professata solo sulla carta.
Il risultato è ben sintetizzato ad esempio in questa richiesta d’aiuto da parte di un nostro Socio: “Salve, ho urgentemente bisogno di uno consiglio. Sono rientrato tra gli assegnatari della sperimentazione ministeriale sulla Vita Indipendente. L’importo assegnatomi è di € 900 mensili…, io ho trovato un assistente e pensavo che bastasse questo, invece mi dicono che la cifra va divisa in macro aree e quindi 400 € per l’assistente, 100 € per l’abitare in autonomia, 100 € per le relazioni sociali, 200 € per la domotica e così via. Ma a me delle macro aree non mi interessa, io i 900 € voglio utilizzarli per l’assunzione di un assistente, anche perché che assunzione faccio con 400 €? Ma perché devono decidere loro come spenderli? Aiutatemi per favore!”.
Siamo ben consapevoli, anche nel rispetto dell’art. 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che l’assistenza personale autogestita non è l’unico strumento per rispondere al diritto di autodeterminarsi delle persone con disabilità, ma è una condizione necessaria per il raggiungimento dell’inclusione nella collettività, il naturale distacco dalla famiglia di origine, il diritto ad una vita adulta. E vogliamo denunciare ancora una volta il fatto che per una persona in condizioni di non autosufficienza non è possibile vivere in modo indipendente con un contributo di € 900 al mese per pagare gli assistenti personali.
Ed è quindi evidente l’enorme mancanza di risorse finanziarie nazionali necessarie a soddisfare in modo efficace ed efficiente tutte le richieste attuali e quelle potenziali future per garantire i diritti espressi nella nostra Costituzione e l’inclusione nella collettività in tutti gli aspetti della vita.
Pertanto, chiediamo riscontro alle parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Delega al Ministero della Famiglia e delle Disabilità Vincenzo Zoccano sul settimanale Vita, che afferma di voler intervenire “non solo rispetto al sanitario e sociosanitario, ma in tutti gli ambiti della vita” e che il suo Ministero senza portafoglio è proprio quello che ci vuole “per far spendere bene i soldi agli altri Ministeri”. Soprattutto a quanto dichiarato nel NADEF 2018, ossia che “Il Governo intende pertanto presentare un disegno di legge per la riforma e il riordino della disciplina per la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità: una riforma strutturale, volta a una revisione legislativa complessiva inerente alle diverse tematiche delle prestazioni e dei servizi per l’inclusione sociale, educativa e occupazionale, dell’accessibilità, della non discriminazione, del diritto alla vita adulta e del contrasto alla segregazione, con il fine di superare la frammentazione normativa mediante la redazione di un apposito Codice della materia.”.
Lo stesso Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità nelle osservazioni conclusive del 31-8-2016 in risposta al primo rapporto italiano relativo all’applicazione della Convenzione ONU, in merito all’art. 19 ha dichiarato di essere: “seriamente preoccupato per la tendenza a re-istituzionalizzare le persone con disabilità e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla Vita Indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza”.
Di conseguenza cita testualmente: “Il Comitato raccomanda: a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente in tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale”.
Partendo da tali considerazioni proponiamo anche al nuovo Osservatorio, di cui vogliamo continuare a essere parte le mozioni seguenti:
• Di superare, dopo cinquant’anni di applicazione nel mondo occidentale e dopo quasi un trentennio in Italia, l’attuale fase di “sperimentazione” e passare all’esigibilità del diritto di tutte le persone con disabilità che lo scelgono, di poter liberamente assumere assistenti personali autonomamente gestiti con un modello di progetto personalizzato e auto-organizzato mediante l’istituzione di apposito e adeguato fondo governativo. L’utilizzo di questa pratica non va inteso come l’unica soluzione per tutti i tipi di disabilità, ma come base di garanzia per l’autodeterminazione delle persone con disabilità, nel caso in cui queste lo richiedano, anche tramite chi le rappresenta.
• Di farsi portavoce nelle sedi opportune affinché lo Stato centrale si adoperi a commissariare, fino a che tali Enti non risolvano la situazione, quei Comuni e quelle Regioni che non provvedono a adottare regolamenti e norme che prevedano l’assistenza personale autogestita come diritto umano soggettivo e inviolabile, unico strumento adatto al superamento del semplice assistenzialismo e al raggiungimento di una reale parità sociale e individuale delle persone con disabilità.
• Di chiedere nelle sedi opportune, visto che l’Italia ha totalmente ratificato la Convenzione Onu, che si passi dai principi generali contenuti nell’articolo 3, agli obblighi da essa elencati nell’articolo 4.
• Di far applicare con eguaglianza alle Regioni il dettato del II° Programma di azione sulle disabilità in particolare relativo alla Linea 2: Politiche, servizi e modelli organizzativi per la Vita Indipendente e l’inclusione nella società, superando i limiti evidenziati dell’attuale Decreto ministeriale.
• Di chiedere l’abrogazione dei limiti d’età imposti da leggi, delibere e regolamenti in materia di Vita Indipendente e di inclusione sociale, a cominciare dai progetti in essere e da quelli in avviamento, in quanto la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità non li prevede.
• Di chiedere l’abrogazione della compartecipazione alle spese per tutti i progetti di Vita Indipendente e similari (es. assegno di cura, ecc. ecc.) in relazione all’assistenza personale.
• Di farsi portavoce affinché si applichi l’art. 33 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, commi 1 e 2, per creare un organismo istituzionale indipendente collegato alla Corte Costituzionale e alla Corte dei Conti.
• Di farsi portavoce per fare in modo che l’Italia applichi l’art. 33, comma 3 allo scopo di creare un organismo indipendente distaccato dal Governo affinché venga monitorata l’applicazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità in tutti i suoi articoli.
• Di fare pressione affinché la legge 112/2016 cosiddetta legge sul “Dopo di noi”, che attualmente pone al centro l’assenza di assistenza familiare, e non le esigenze per una vera inclusione sociale ed un programma efficace di deistituzionalizzazione, modifichi il suo orientamento nel rispetto dell’art. 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità nella sua interezza.
ENIL Italia, novembre 2018
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