Doveva essere il 1992 l’anno in cui ho incontrato per la prima volta Miriam Massari. Era venuta
a Como, invitata dalla candidata comasca Grazia Villa, in occasione della campagna elettorale
della Rete, in cui si era anch’essa candidata per promuovere politicamente il tema del diritto alla
vita indipendente delle persone con disabilità.
Leggevo avidamente i suoi articoli, che forse già a quel tempo pubblicava sulla rivista
Avvenimenti. Finalmente provavo piacere, e non noia, fastidio o angoscia, nel leggere di
disabilità. Eppure, disabile anch’io, mi ero cimentata diverse volte a promuovere con parole facili
la cultura che, a partire dalla nostra costituzione, vorrebbe fondare una società capace di
prevedere e accogliere, in posizione di libertà e uguaglianza, la presenza al suo interno delle
persone con disabilità. Ma le parole fino ad allora ascoltate, perfino le mie, mi suonavano vuote.
Dai suoi articoli invece affioravano verità che riuscivo a toccare con mano, perché sfioravano le
corde dei miei sentimenti e soprattutto della mia esperienza di vita.
Mantenendosi salda nell’orgoglio della sua identità di donna emancipata raccontava della
fermezza con la quale difendeva la sua libertà di far stirare le camicie del marito dalle assistenti
personali, figure deputate a sostituire le sue gambe e le sue braccia, e di come quelle lavoratrici
la accusassero di essere antifemminista.
Essendo di sinistra e quindi sensibile ai diritti dei lavoratori (a quel tempo poteva ancora
sembrare vero), sapeva esprimere solidarietà nei loro confronti, pur rivendicando il nostro diritto
di persone con disabilità di compiere scelte libere, grazie al loro lavoro.
Difendeva il diritto all’aborto, come atto delle donne di autodeterminazione del proprio corpo e
della propria esistenza, ma reclamava soprattutto il diritto di poter nascere con disabilità.
In un articolo dove parlava di barriere architettoniche e di diritto al trasporto diceva che le
persone con disabilità devono essere previste, benvenute come sovrane, non come incidenti di
percorso.
Ricordo la mia felicità nel sentirmi capace di sapermi pensare e programmare come sovrana di
me stessa, così come lei ci incoraggiava a tentare. Sovranità è parola divisiva in questo strano
periodo, ma è da lì che si deve partire per difendere il nostro diritto all’inviolabilità del nostro
corpo e alla possibilità di autodeterminarci nello spazio e nel tempo. Così agli albori di quella
lontana primavera del 1992, senza nessuna titubanza mi recai a Villa Olmo a incontrarla, cosa
che non avrei fatto con qualunque altro personaggio, distante, come sono tuttora, dal farmi
esaltare dalla personalità di chiunque.
Fu lei ad avvicinarmi alla fine della serata per invitarmi a partecipare all’assemblea fondativa di
ENIL Italia che si sarebbe tenuta a Bocca di Magra nel mese di maggio di quell’anno.
Ci andai. Anche in quell’occasione il piacere della scoperta continuò ad accompagnarmi: stare
in mezzo a tante persone con disabilità come me non era più motivo di vergogna, come può
sentirsi chi si percepisce costretto/a in un recinto, ma motivo di orgoglio per sentirsi parte di un
movimento di persone che hanno qualcosa di nuovo e importante da dire per migliorare la
società in cui vivono. Qualcosa di nuovo e importante, a cominciare dall’atto di parlare per se
stessi/e, cosa che accade ancora troppo raramente alle persone con disabilità, che vengono
invece rappresentate, perfino rispetto ai loro bisogni, dai cosiddetti esperti. Regola
fondamentale dell’associazione nata in quel momento era proprio quella che solo i soci, cioè le
persone con disabilità, avevano diritto di voto!
Oggi, per un malinteso concetto di democrazia, una regola siffatta non è più ammissibile dagli
statuti standard nei quali occorre rientrare se si vuole costituire un’associazione.
La storia ha dato ragione a diversi/e fra noi messi/e in condizione di vivere una vita indipendente
seppur con pochi mezzi, seppur non ancora pienamente sovrani/e, ancora troppo pochi/e; la
strada è ancora lunga e su molti punti si è tornati indietro. Il materiale, con tutte le riflessioni che
Miriam ha sviluppato e che ENIL Italia mette oggi a disposizione, ci sarà d’aiuto per mantenere
la barra dritta, per non perdere l’orientamento rispetto agli obiettivi di libertà e uguaglianza che ci
siamo prefissi/e, per non sentirci soli/e, in quanto parte di un movimento di persone con
un’origine, una storia, una filosofia e una pratica di vita.
Grazie Miriam.

Ida Angela Sala