È possibile che quanti leggeranno queste pagine trovino strano questo linguaggio, questa terminologia:
persone con disabilità.
Perché non usare la consueta parola “handicappati”? La risposta è semplice: perché le parole sono importanti, usarle male vuol dire pensare male e pensare male porta a comportarsi al peggio.
Il termine “handicap” è formato dalle parole “hand” (mano) e “cap” (berretto, cappello), nasce in Gran Bretagna, prima come gioco d’azzardo – la mano pescava alcune monete nel cappello, secondo regole particolari (Hand in Cap) – e poi approdato nel mondo dell’equitazione. Uno strano senso dello sport, o meglio, della sportività, aveva prodotto una regola per la quale il fantino più abile e con il cavallo più veloce doveva dare agli altri concorrenti la possibilità di vincere la gara e per far ciò gli si rendeva la corsa più difficile costringendolo, mentre cavalcava, a tenere una mano sulla testa, sul berretto, anche perché talvolta il premio era messo proprio nel berretto prima di calcarlo sulla testa. In epoca moderna l’handicap negli sport come il golf e l’equitazione prevede che alcuni vengano penalizzati con uno svantaggio nel numero dei colpi o con una zavorra di piombo. Puntualizziamo: nelle gare ad handicap sono i migliori ad essere svantaggiati!
Questo è esattamente il significato che la parola ha, ed è anche il senso che in ENIL Italia a quella parola viene dato: non carenza o difficoltà insite nella persona, bensì imposizione di carenze e di difficoltà da parte di altri, da parte della società nel suo insieme, quando essa nega alle persone con disabilità la possibilità di competere alla pari, di vivere alla pari.
Ecco quindi perché usarlo è, secondo ENIL Italia, un errore: non significa quello che normalmente si intende, travisa la realtà poiché a nessuno viene in mente che la parola non è un aggettivo o un sostantivo, bensì un participio passato.
In questo Paese, nella mentalità corrente, il termine “handicappato” è diventato sinonimo, o gli è stato attribuito il significato di meno bello, meno intelligente, meno abile, meno produttivo, meno competitivo, meno capace, sempre e solo riferito a qualcosa di “ridotto” da evitare o da ignorare, al più da assistere e accudire. Spesso viene usato come termine offensivo, nei confronti di qualcuno che “non ce la fa”.
Queste considerazioni porterebbero a opinioni poco benevole sulla “comune sensibilità” e più in generale sul rispetto che mediamente si ha nei confronti del prossimo, e negli USA, forse con qualche forzatura, la terminologia “politically correct” ha cercato di frenare questo dilagare dei poco rispettosi luoghi comuni.
Proprio negli Stati Uniti d’America è nato il termine “persona con disabilità”, il Movimento per la Vita Indipendente lo ha adottato da molti anni, poiché si è ritenuto quel termine più preciso e potenzialmente più “forte” perché aperto a diverse interpretazioni positive, quindi con un carico semantico migliore, utilizzabile meglio a vantaggio delle iniziative politiche che il Movimento attuava. Oggi i documenti ufficiali USA e quelli delle Nazioni Unite usano regolarmente questo termine. Lo si usa anche in Italia da pochi anni, ma nei testi che superano appena qualche riga ricompaiono magicamente altri “sinonimi” usati indifferentemente e con l’intenzione di arricchire un testo e di evitare ripetizioni fastidiose. A mio parere è meglio la ripetizione fastidiosa rispetto all’imprecisione.
In Italia, ENIL ha proposto ormai da molti anni il termine “persona con disabilità” e siamo lieti che sia divenuto di uso corrente, anche se non ancora esclusivo. Analizzando brevemente il termine: “persona” (al posto del bruttissimo e purtroppo ancora troppo spesso usato “portatore”) sta ad indicare che al di là di una o più disabilità, anche gravi, esiste la persona, con il suo bagaglio di limiti ed ombre, ma anche di splendori, desideri, volontà, e con tutti i diritti che, almeno a parole, il sistema sociale garantisce alle persone, ai cittadini, per il solo fatto di esistere, di essere nati. “Disabilità” è un termine meno negativo, ad esempio, di “invalidità” che parla espressamente di mancanza di validità, e quindi di mancanza di valore, mentre il termine “disabilità” pur evocando la mancanza di alcune abilità non le esclude tutte, e le persone cosiddette “normodotate” spesso non immaginano neppure quante e quanto ricche possano essere le “abilità” dei cosiddetti “handicappati”. Per concludere, nella lingua italiana la parola “disabilità” è uguale sia al singolare che al plurale; questo dovrebbe far riflettere sul fatto che il termine in sé non determina la condizione della persona: occorre approfondire, conoscere, e questo non può che far bene.
Secondo ENIL Italia, persona con disabilità è una persona che, a causa di una conformazione fisica o di una menomazione di una certa gravità, trova difficile o impossibile svolgere senza ausilii o aiuti un’azione, un atto, una mansione con la stessa capacità, forza o velocità di una persona “media”, e quindi “mediamente” senza disabilità.
Le persone con disabilità sono molte di più di quanto normalmente si immagini: persona con disabilità è un bambino, è un anziano, è una donna in attesa di un figlio, è un obeso, è chiunque non possieda una o più delle caratteristiche riconosciute come indispensabili per formare quell’insieme di “qualità potenziali” (forza, velocità, autonomia, etc.) che identificano la persona “media”.
Il fatto di essere “in tanti” non comporta necessariamente un vantaggio, però far comprendere ai politici, ai tecnici, ai progettisti, ai commercianti che c’è una enorme potenzialità sia in termini di puro mercato che di forza sociale dovrebbe aiutare tutti a prendere le decisioni migliori, a partire per esempio dalla tecnologia del “design for all”.
John Fischetti, © 2006, revisione e addendum 2013 ENIL Italia
ENIL e il movimento internazionale per la Vita Indipendente hanno adottato il termine “persona con disabilità” in qualche modo interpretando le definizioni che sono state elaborate dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, e che vengono riportatedi seguito:
DEFINIZIONI OMS
Organizzazione Mondiale della Sanità, in Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali, Edizione italiana a cura del “Centro Lombardo per l’Educazione Sanitaria”, Milano.
“17. Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute è menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica.
18. Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute si intende per disabilità qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano.
19. L’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio-culturali.”
Successivamente la stessa OMS ha modificato i criteri e ha adottato il modello ICF, che è più preciso e scientificamente validato, ma che è anche molto più complesso da utilizzare e per molti aspetti anche concettualmente più difficile da comprendere. Per questo motivo e lasciando ICF al livello tecnico specialistico riteno che le definizioni OMS sopra riportate abbiano ancora una grande validità. La sola variazione importante dal momento dell’approvazione delle norme sopra citate è stata il riconoscere che anche la disabilità e non solo l’handicap è molto spesso dovuta a fattori esterni alla persona, cioè alla carenza di ausilii e servizi. Ad esempio una persona con miopia ha una disabilità visiva solo se non può dotarsi di occhiali.
Addendum.
Nel sito di AVI Toscana si può leggere:
<<la dizione “persone con disabilità”. Questa è però la dizione usata dai governi, seppure meno arretrati. Viceversa il movimento internazionale dei disabili, Enil, Adolf Ratzka ecc. usano la dizione “persone disabili”. Questo perché la disabilità è solo un fattore sociale, non esisterebbe di per se. Se si usa la dizione “persone con disabilità” si attribuisce un contenuto di veridicità alla disabilità. Viceversa il movimento dei disabili usa “persone disabili” come si usa i neri, i gay, gli zingari ecc., cioè in modo provocatorio, per sottolineare che si tratta di uno stigma sociale.>>
A mio parere questa interpretazione è errata perché il termine usato da Ratzka e in ENIL non è “disable” bensì “disabled”, ovvero “disabilitati”, non “disabili”. In questo senso la parola acquista il significato voluto, quello in cui la disabilità è imposta a causa della carenza di politiche che la riducano o annullino.
Invece tradurre malamente in italiano il “Disabled people” con “Persone disabili” trasforma quel “disabili” in un aggettivo qualificativo, cioè va esattamente nella direzione opposta. Se poi dalla locuzione togli la persona, come spesso si fa il termine diventa addirittura un sostantivo, e sia nel caso di aggettivo qualificativo che nel caso del sostantivo assegna alla disabilità la totale descrizione della persona. Invece “Persona con disabilità” è descrizione oggettiva, oltretuttto in italiano disabilità vale sia al singolare che al plurale, quindi può comprendere tutto pur senza assegnare una totale “inefficienza”.
In Europa hanno deciso di usare il termine “disabled” che sta a significare “disabilitato”, poiché non credo che la provocazione linguistica arrivi qui in Italia a parlare di “persone disabilitate”, a mio parere è ancora meglio e corretto usare la locuzione “persone con disabilità”, eventualmente precisando che quel “con” può benissimo significare disabilità indotta, proveniene dall’esterno e non dalla persona stessa.
Fortunatamente a livello di rappresentanza politica, soprattutto in ambito Fish, questo concetto è consolidato. Speriamo che duri…
In un’altra pagina di questo sito viene spiegato in modo esemplare da Carlo Giacobini il motivo per cui rifiutiamo anche il “nuovo” termine che purtroppo si sta diffondendo: “diversamente abile”